Per tutto l'Ottocento, andare a teatro era il modo più comodo e piacevole di stare in società e passare la serata. La musica? Il palcoscenico? In secondo piano.
«Il teatro perpetuo, di tutte le sere; il teatro distrazione è un raduno di gente a veglia, che vuole il bigliardo, il caffè, la birreria, il giuoco e nulla più», lamentava il famoso attore Gustavo Modena nel 1836.
Eh sì, perché nell'Ottocento, come ci spiegano Carlida Steffan e Luca Zoppelli nel libro Nei palchi e sulle sedie da poco edito da Carrocci (sottotitolo: Il teatro musicale nella società italiana dell'Ottocento), che si fosse nobili o borghesi, ricchi o meno, per molti il teatro diventava di fatto una seconda casa.
Un luogo accogliente, ben illuminato e ben riscaldato, dove incontrarsi, chiacchierare, cenare, giocare a carte o a scacchi, discutere di politica o combinare affari. Negli spazi comuni, dotato pure di caffetteria e casinò. E la musica? Contava, ma non più di tanto.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Una comoda sala di ricevimento e conversazione
Ogni palco, di proprietà o in affitto, diveniva un comodo salotto - in certi casi, persino con retrostante cucinino - disponibile ogni sera. Nei teatri maggiori, durante le tre tradizionali stagioni di carnevale, primavera ed autunno: in tal modo, in quei periodi non occorreva ricevere in casa. E non importava se le due, tre, quattro opere in cartellone si ripetevano sempre eguali, sera dopo sera.
Tanto, a quanto accadeva sul palcoscenico non si prestava che una minima, distratta attenzione. A meno che la famosa diva non si esibisse nella celebre aria per cui, per qualche minuto ma non di più, gli si prestava attenzione.
Palchettisti, loggionisti e parterriani
Questo atteggiamento, spesso indifferente ai valori dell'arte, coinvolgeva anche loggionisti e parterriani, cioè quelli che affollavano seduti o in piedi - fruendo di ingressi a modico prezzo - il parterre, cioè la platea. I viaggiatori stranieri, ovviamente, si scandalizzavano di tali comportamenti.
Vedi come Hector Berlioz descrive una serata milanese: «Alla Cannobiana si dava L'elisir d'amore di Donizetti. Trovai la sala piena di persone che parlavano ad alta voce e davano le spalle alla scena; i cantati, invece, gesticolavano e si spolmonavano quanto potevano. Era impossibile, a causa del chiasso degli spettatori, sentire un suono diverso da quello della grancassa. Nei palchi si giocava, si cenava, etc, etc... Era inutile sperare di sentire la minima cosa di questa partitura».
Per fortuna, qualche sincero melomane esisteva: come Francesco IV duca di Modena e Carlo Felice re di Savoia e Sardegna - nipote e zio – i quali pretendevano il silenzio in teatro, se assistevano ad un'opera di loro interesse.
Un saggio d'estremo interesse
Il ben documentato lavoro a quattro mani di Carlida Steffan e Luca Zoppelli indaga, forse per la prima volta così a fondo e con ingente ricchezza di testimonianze, la composizione ed i comportamenti del pubblico che affollava i teatri italici nel corso dell'Ottocento, allorché divennero fulcro della vita sociale dei centri che li ospitavano.
Anche minori, anche minimi: perché disporre di un teatro, comune luogo di ritrovo, divenne ovunque una necessità inderogabile. Proseguendo nel discorso, pone inoltre in rilievo quanto le aspettative, le consuetudini e le inclinazioni culturali dei loro frequentatori influenzassero l'attività di impresari e compositori.
Il libro tratteggia pure un quadro preciso di come il nostro melodramma, quale vero genere 'popolare', sconfinasse dalle sale teatrali per invadere la vita d'ogni giorno: le vie, con i canti del popolino; le dimore, con la pratica musicale casalinga; e le piazze, con il fiorire della mille bande cittadine. Per finire, indaga anche quale ruolo l'opera abbia svolto nel processo risorgimentale, culminato – ma non completato – con l'Unità. Nell'Italia umbertina, si sa, muteranno – in meglio o in peggio - le condizioni sociali e politiche. E con esse la natura stessa dell'opera, almeno quale abituale e quotidiano divertimento di massa.
Nei palchi e sulle sedie
di Carlida Steffan e Luca Zoppelli
Carrocci editore
Pag. 343 - € 32,00